7 febbraio 2012 | Francesco Falcone

Cartizze

di Francesco Falcone
cartizza

A zonzo nel comprensorio di Conegliano e Valdobbiadene. È metà marzo del 2009, tarda mattinata. La mia prima volta in zona. Si dirada una bruma luminosa, la giornata è di quelle giuste e davanti mi si apre gradualmente lo spettacolo di Cartizze (vedi foto).

La salita che dal paese di Valdobbiadene sale in direzione di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol è di quelle grintose, lo scollinamento è duro, la strada diventa convessa come un tapis roulant e vengo avvolto in una sorta di involucro al cui interno c’è spazio solo per vecchie vigne potate a cappuccina e per belle case contadine. Procedo a piedi, lento, e intanto il cielo si apre. Assaporo il pendio con il gusto dell’esploratore, piano piano, godendomi passo dopo passo l’architettura della collina e le sue ondulazioni, i suoi filari e i suoi panorami mozzafiato.

Mentre cammino i ricordi vanno alle grandi vigne visitate in vita mia e mi dico che questa non è inferiore a nessuna: gli occhi scavano nella memoria e in sequenza rapidissima penso alla Valtellina, alle Cinque Terre, a certi scorci di Langa, al cuore più alto del Soave Classico. Sarà che mi manca l’ossigeno, sarà l’emozione del momento, sarà che la bellezza non merita graduatorie, ma a me questa sembra straordinaria.

Alle mie spalle la muscolatura delle prealpi fa da cornice al territorio, protegge e rende ancora più imponente il contesto, ma in questo caso la collina si rivela superiore alla montagna: la sommità del Cartizze è luogo dove tutto resta sospeso, dove la luce cambia e con essa le voci e gli odori.

Sarà per questo, penso, che la quotazione dei terreni qui oltrepassa il milione di euro l’ettaro, tra più costosi d’Italia; sarà per questo che il suo nome è entrato nella leggenda del viticoltura italiana: una vigna fuoriclasse, un campione in un territorio di gregari. Perché il Prosecco è vino gregario per eccellenza.

Il comprensorio conta 105 ettari vitati, poco più, poco meno, divisi tra quasi 150 proprietari; la pendenza è aspra, l’esposizione guarda a sud, la forma è quella di un grande, immenso anfiteatro che dai 310 metri di quota degrada ripido, soprattutto nella parte alta, fino ai 230 metri.

Nella porzione appannaggio di San Pietro di Barbozza i suoli derivano da un substrato che vede prevalere le marne nei settori più settentrionali e le calcareniti in quelli meridionali; nella zona di Santo Stefano aumenta la percentuale di arenaria mentre a Saccol sono le marne calcaree a pravalere.

Dal 1969, ovvero fin dall’esordio della denominazione d’origine, questa collina è riconosciuta “Superiore” e rappresenta la dolcezza, la tenerezza, la florealità del Prosecco d’autore. Una trentina sono i Cartizze in commercio, quasi tutti elaborati in versione Dry (fino a 32 gr./l di residuo zuccherino), ma è il Brut di Silvano Follador, asciutto e salino, anzi proprio salato, che negli ultimi tempi ha conquistato il mio palato.

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