6 marzo 2014 | Francesco Falcone

Enogea 53: Il sogno dei vini naturali: la guerra del vero gusto

di Francesco Falcone
sinehebdo copia

Nella traduzione di Giorgio Fogliani, pubblichiamo qui un articolo di Jacques// Perrin, apparso sul numero 49 di Vinifera (Ottobre 2013). Come sarà evidente anche al lettore più distratto, dietro i risvolti onirici e belligeranti del titolo, l’autore ha intenzioni solo giornalistiche. E si impegna così ad argomentare in modo del tutto pacato e documentato la sua personale ricostruzione del vivace dibattito intorno ai vini cosiddetti naturali, lasciando spazio anche a una ricognizione del parere di colleghi giornalisti e blogger, nonché di alcuni stimati produttori e consulenti enologici di lingua francese. Ringraziamo pertanto Jacques Perrin: consentendoci di pubblicare questo suo pregevole approfondimento ci aiuta a fare un po’ di chiarezza sulla questione. E soprattutto ci stimola a elaborare spunti e sollecitazioni nella prospettiva di un successivo ulteriore confronto e di un futuro supplemento di indagine.

Biologico, biodinamico, naturale, vivo, senza solfiti aggiunti, è lungo l’elenco degli aggettivi per designare il vino migliore degli altri. Per fare chiarezza sulla questione, cominciamo dal definirne i ter// mini. Dal febbraio 2012, il legislatore europeo ha adottato il progetto di marchio “vino biologico”, che certifica tanto la vinificazione che la coltivazione dell’uva. Così, la menzione “vino biologico” soppianta ormai quella di “vino ottenuto da uve provenienti da agricoltura biologica”. Fino ad allora, come sottolinea un viticoltore biologico, «il vino bio era il passeggero clandestino dell’agricoltura biologica». Il disciplinare adottato è un compromesso tra le molteplici esigenze pratiche e le rappresentanze dei vari paesi della comunità europea. Restringe per esempio la quantità massima di solforosa a 100 mg per litro per i vini rossi (mentre per i rossi non biologici ne sono ammessi 150 mg) e stila una lista precisa degli additivi e coadiuvanti autorizzati. Non limita invece l’eventuale utilizzo di chips per aromatizzare il vino né l’impiego di lieviti esogeni. Il “bio” ha conosciuto un boom importante in questi ultimi anni: uno sviluppo che, c’è da scommetterci, proseguirà. In Francia, paese leader nei vini di qualità, meno del 10% dei vigneti sono in regime di agricoltura biologica certificata. Davanti alla minaccia del vino industriale e del produttivismo, in un certo numero di paesi si sono organizzate delle isole di resistenza…[...]

La guerra del gusto

Questi diversi approcci testimoniano certo un’accresciuta attenzione alla vita della pianta, al suo equilibrio e alla vita del suolo – e dunque al sapore profondo dell’uva; ma se la loro applicazione dovesse tradursi in un guadagno qualitativo, allora il fatto di essere in produzione integrata, in biologico o in biodinamico non significherebbe necessariamente produrre uve migliori rispetto al vicino non bio. Credere il contrario vuol dire negare l’esistenza di quelli che Michel Bettane chiama i biostronzi, termine un po’ provocatorio che designa tutti coloro che pensano che produrre biologico è una virtù che rende caduche tutte le altre. A cominciare da quella del rigore nella vinificazione o dello spirito critico. «Morte allora ai rossi puzzolenti, ché i cattivi lieviti indigeni, tanto avidi da cannibalizzare i buoni quando il vinificatore lascia fare, sono uguali in tutto il pianeta e uniformano con i loro aromi animali tutti i vitigni e tutti i terroir (…) Basta coi bianchi ossidati e morti!». Questa inevitabile sfuriata di Michel Bettane (apparsa in «Tast», luglio 2007) ha scatenato le ostilità. Una nuova versione della guerra del gusto. Con due campi perfettamente divisi e arroccati sulle rispettive…[...]

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Rudolf Steiner

Senza zolfo ma non senza macchia

Il movimento dei vini senza solfiti trova incontestabilmente origine e nume tutelare nella persona di Jules Chauvet (1907-1989). Di stanza nel Beaujolais, chimico di formazione, grande “naso” e degustatore d’eccezione, Jules Chauvet ha lavorato sui lieviti, la fermentazione malolattica, la macerazione carbonica, senza dimenticare la vinificazione senza solfiti, che è diventata il suo cavallo di battaglia. Il che non gli impediva però di dichiarare: «Il solfitaggio (aggiunta di solfiti) non è indispensabile, ma spesso necessario. L’ideale sarebbe non solfitare: bisognerebbe essere allora sicuri della vendemmia e di se stessi» (Promemoria sulla vinificazione in rosso apparso sul «Bourguignon viticole» nel 1960). In un’intervista con Hans-Ulrich Kesselring, che osservava che la SO2, l’anidride solforosa, si è sempre utilizzata, Jules Chauvet rispose: “Sì, ma per l’appunto, credo che questo si debba rivedere. È la facilità… Credo che si possa fare a meno di SO2, in una certa misura, se si dà prova di igiene” (Jules Chauvet: Le vin en question). Lo si constata attraverso questi due estratti: Jules Chauvet non è mai stato perentorio in ciò…[...]

Elogio dell’ebbrezza

Ed è così che abbiamo visto fiorire sul web, nell’orbita del buono, bio, naturale, vivo, senza solfiti, tutta una mitologia di vini-bibita. O piuttosto un allegro guazzabuglio a tendenza regressiva più o meno riconosciuta, che si esprime soprattutto sulla blogosfera attraverso onomatopee suggestive, glougueule, slurp, miss gluglu. Una vera e propria liberazione, senza dubbio una reazione contro anni di commenti ingessati sul vino e di malcelato proibizionismo. Tanto che viene da chiedersi se, per certi appassionati ,dall’ebrezza, la dimensione naturale e viva del liquido non rappresenti un esonero a priori da ogni possibile eccesso futuro: posso bere tutti i giorni come una spugna, posso sbronzarmi in libertà che tanto è sano e naturale!
Questa corrente disinibita e naturalista raggruppa chiaramente diverse categorie di amanti del vino, addirittura diverse tribù (radical chic, gourmet, tifosi) ed è rilanciata da blogger e gestori di enoteche. Partita dalla Francia, si è diffusa con alterne fortune…[...]

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Copertina del 13 aprile 2010 di Sine Hebdo, settimanale satirico francese, dedidicata a Marcel Lapierre

Il sogno del vino naturale

La fronda dei vini naturali appare non solo come una reazione ai vini mediocri e senz’anima di cui il mercato è inondato, ma fondamentalmente come una presa di posizione legata a un conflitto di autorità, quella delle classifiche, del prestigio del marchio, degli esperti e opinionisti, che si vedono come superati a sinistra da questi nuovi araldi. Invitato all’inaugurazione di una grande enoteca parigina, il blogger Guillaume Nicolas- Brion (Du Morgon dans les veines) si è visto proporre in degustazione dei vini di Cheval Blanc e di Yquem. Privilegio? No, crimine di lecca-maestà, secondo il nostro blogger. Servendo alla plebaglia Yquem e Cheval Blanc, questa enoteca ha perso, secondo lui, la sua identità: «Si potrà dire che il mio palato è deviato a forza di bere vino naturale e che non sono abituato ai grandi vini. Ma dopo averne assaggiati alcuni oggi (o altri in altri momenti), Cheval Blanc e Yquem non sono per me dei “grandi” vini. Sì, ho un vero problema: non ho voglia di riempirmi di nuovo il bicchiere. Per via del…[...]

Per continuare a leggere Il sogno dei vini naturali: la guerra del vero gusto (con gli interventi di David Cobbold, Stéphane Derenoncourt, François Mithavile, André Ostertag, Vincent Pousson, Jacky Rigaux) clicca qui e acquista una copia di Enogea 53 oppure clicca qui e abbonati a 6 numeri di Enogea.

Una risposta a “Enogea 53: Il sogno dei vini naturali: la guerra del vero gusto”

  1. Interessante e ragionato contributo. Molto più modestamente, anche Wine Pass ha cercato di operare alcune distinzione tra biologico, biodinamico, naturale e sostenibile, giungendo a posizioni che si allineano a quella dell’autore: http://goo.gl/MLEvnu

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