Ghemme Collis Breclemae 1997, Antichi vigneti di Cantalupo
di Francesco Falcone
Non è facile fare il produttore di vino, oggi. Vale a dire che oggi un produttore di vino di caratura anche solo media deve fare un sacco di cose, troppe (senza contare il periodo da incubo della vendemmia): l’ordinaria amministrazione in cantina e in campagna, l’ufficio, la gestione delle risorse umane, le pubbliche relazioni, il sito, le email, la rassegna stampa dei blog del settore, presenziare a un banco d’assaggio, partecipare a un convegno, programmare un viaggio di lavoro fuori dai confini regionali, italici, europei, scappare di corsa a una riunione di consorzio, fare certificazioni e autocertificazioni, e poi ancora potare, defogliare, scacchiare, sfemminellare, assaggiare, campionare, travasare, assemblare, maturare, rifinire, filtrare, chiarificare, affinare, solfitare, imbottigliare e, alla fine, stramazzare in un letto sognando i successi di Gaja, Soldera, Giovanni Conterno, Jermann, Isole e Olena: perché neanche gli incubi finiscono mai.
Di qui la bollitura, inevitabile, anzi essenziale, addirittura ontologica, inderente all’essere produttore di vino contemporaneo. Eppure c’è chi vive il suo lavoro di vignaiolo con la serenità di un buddista, con la positività dei predestinati, con la sicumera dei guru, con la forza e la “luce” dei grandi Maestri. Tra questi fortunati esemplari di contadini illuminati c’è sicuramente Alberto Arlunno di Ghemme, interprete sommo del vino nordpiemontese e titolare dell’azienda agricola Antichi Vigneti di Cantalupo.
Il suo buonumore, la sua tranquillità, la sua fede, li ritrovo sovente nei rossi della gamma: vini che sono una finestra spalancata sui fondamentali del nebbiolo, la quintessenza espressiva del terroir di Ghemme. Ultima bottiglia stappata: Ghemme Collis Breclemae 1997, una meraviglia. Insieme al 2000 (altra annata calda) la più grande versione assaggiata in questi ultimi anni. Per godere con intelligenza e la giusta dose di serenità.