2 giugno 2012 | Alessandro Masnaghetti

Il Grande vino

di Alessandro Masnaghetti
puntointerrogatico

- “Pronto, Signor Pèllaro?”
- “Si?”
- “Salve sono Mauro Erro, la chiamo per quel campione di vino che mi ha lasciato?”
- “Ah si, l’ha assaggiato?”
- “Si, l’ho assaggiato. Solo una domanda: ma rispetto all’esordio, al vino dell’anno scorso, avete cambiato qualcosa nel modo di farlo?”
- “No, che io ricordi no. Perchè?”
- “Sicuro? Negli affinamenti, ad esempio, non avete cambiato nulla?”
- “Argh, ha ragione. Quindi se n’è accorto? Abbiamo comprato i legni nuovi. Quelli piccoli. Il vino c’è stato 24 mesi dentro.”
- “E si sente.”

Avete presente gli odori che sentite quando entrate in una falegnameria? Di legno nuovo e di affumicato da bruciatura, con il sibilo della sega ancora in funzione che vi fa percorrere un leggero brivido dietro la schiena?
Il vino odorava proprio di quello e al palato, dopo che oltre la bocca si era raggrinzito pure il collo per la disidratazione provocata dalla quantità di tannini presenti, un prorompente finale amaro chiudeva l’assaggio.

-“Bene, mi fa piacere che si senta. Volevo fare un grande vino.”
- “Mi scusi Pèllaro, ma perché questo cambiamento, il vino dell’anno scorso era cosi buono, così fruttato, godibile. Come mai avete deciso di cambiare l’affinamento?”
- “Gliel’ho detto. Volevo fare un grande vino. Poi abbiamo fatto un secondo vino, affinato solo in acciaio.”
- “Ah ecco. Pèllaro mi ricorda quante bottiglie produce?”
- “Settemila.”
- “Eh c’era bisogno di fare un secondo vino?”
- “Si, un vino più fruttato, più godibile, più facile da bere.”
- “???”

Una cosa che non ho mai capito frequentando i produttori nei miei giri, sono i tanti che nel vino cercano una sorta di riscatto sociale che si traduce nella solita ambizione: fare il Grande vino. Non un buon vino, ma un grande vino. Un grande vino che per tanto tempo e ancora oggi ha una sua ricetta consolidata: una grande cantina, un grande enologo, legno nuovo, eccetera eccetera.
Di questi produttori, mai nessuno che abbia semplicemente pensato che oltre un bravo interprete e un vitigno o più vitigni che si prestassero a tale ambizione, ci voglia una grande vigna.
E che di grandi vigne, non ce ne sono, ahimè, decine e decine per ogni comune italiano.

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