11 giugno 2012 | Francesco Falcone

Il talento non ha bisogno di travestimenti

di Francesco Falcone
Mina


Rileggo volentieri, a distanza di anni, un vecchio articolo di Mina sulla Stampa. Un bel pezzo contro la moda e i modaioli: scriveva, la tigre di Cremona, che nessuna persona davvero di valore dedica particolare attenzione al proprio abbigliamento. E se lo scriveva lei, una delle poche vere dive italiane di tutti i tempi, un bel fondo di verità ci sarà.

Io sottoscrivo: la regola enunciata da Mina, come tutte le regole, ha qualche (rara) eccezione, ma non è difficile verificarla. L’ossessione italiana per l’abito firmato e per il look ha coinciso con uno dei periodi meno felici e fervidi della nostra storia, come se ci fosse un nesso preciso tra il deperimento della sostanza e il trionfo dell’apparenza.

Basta aver girato qualche volta per il resto dell’Europa, in città spesso migliori delle nostre – più pulite, più ordinate, più progredite – per accorgersi che la gente, in media, è vestita in maniera più informale, più semplice e talvolta quasi trasandata.

Da noi, al contrario, non è rara la figura caricaturale del villano elegantissimo, o della povera di spirito agghindata a festa, per tacere della massa di giovanissimi che si rifanno ai tronisti e alle troniste televisive, poveri cristi ipertruccati e pacchiani, tutti uguali l’uno all’altro.

Quanto alle persone davvero di valore che se ne fregano dell’abito, ognuno di noi ne conosce o ne ha conosciute molte (spero): teniamocele strette.

Loro, molto semplicemente, non ne hanno bisogno. Bastano la faccia, le parole e l’atteggiamento verso gli altri a documentarne ampiamente lo stile.

Il talento non ha bisogno di travestimenti: vale per la gente, così come vale per il vino.

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