17 febbraio 2012 | Francesco Falcone

L’importanza di chiamarsi Walter

di Francesco Falcone
walter massa

Ho un debole per chi di nome fa Walter.
Benjamin, Bonatti, Chiari, Matthau, Tobagi, Veltroni, Zenga. Sì anche Zenga e chi mi conosce lo sa. C’è qualcosa che li accomuna, tutti. Forse l’audacia, forse il coraggio di esibire anche le proprie debolezze, forse le loro uscite a vuoto (anche metaforiche), forse il percorso fuori dall’ordinario che ha contrassegnato la loro vita e la loro professione.

Nel vino, c’è Walter Massa di Monleale, nell’Alessandrino. È una rara figura di contadino critico, da molti considerato un Maestro. Il Maestro del Timorasso dei Colli Tortonesi. Quasi un guru da quelle parti. Uno che crede nella speculazione filosofica e che si avvale di immagini e di citazioni “alte” anche a rischio di cadere in qualche eccesso di pensiero forse troppo alto perfino per un equilibrista come lui. Ma tant’è, quando uno è un maestro, si è disposti a concedergli tutto. Perfino ad accettare quella “vis polemica” che talvolta è così priva di sostanza da risultare semplicemente ideologica. Tuttavia nessuno è perfetto.

Se fosse stato un calciatore, Walter Massa, avrebbe fatto il fantasista. Non il regista illuminato come il conterraneo Gianni Rivera, ma il cursore-funambolo. Sì, sono certo che si sarebbe piazzato sulla fascia perché anche nella vita è un’ala sinistra “irrazionalista”, un giocoliere di parole, un driblatore di concetti, un fluidificante di idee. Uno col sacro fuoco dentro insomma, che lotta per sé e per i suoi compagni. E per la sua terra.

Walter Massa è dunque un viticoltore-pensatore. Non una mente di stampo einaudiano, non un mediatore dal profilo “scalfariano”, non un uomo di palazzo, ma un attivista fervente, un osservatore acuto, che vede, sente, mastica e all’occorrenza ringhia il suo punto di vista. Mai banale.

Il suo lato più idealista lo porta a vendere non solo vino, ma un’idea, un progetto, un sogno. E che lo porta a lanciare messaggi. Ogni tanto, lo ripeto, sono così sopra le righe, così irrazionali (della serie “una boiata pazzesca”) che capita di cedere alla tentazione di mandarlo, come direbbe quel gran filosofo di Calderoli <<a da’ via el cü>>, ma poi tutto passa. Se Dio vuole.

Walter Massa, lo scrivo per chi ancora non lo avesse capito, è sopratutto un bravissimo vignaiolo, di quelli che fanno bene al nostro mondo, capace di guardare lontano anche se il suo punto di osservazione è nascosto nella periferia del vino piemontese, infilato in un cono d’ombra tra Emilia e Lombardia.

I bianchi sono il suo pane. Bianchi dalle spalle larghe e dalla trama fine. Capaci di sfidare il tempo e una tradizione locale un tempo avara di spunti stimolanti. Se vi capitasse di trovare in giro una bottiglia del suo Colli Tortonesi Timorasso Costa del Vento 2004, scoprireste un vino che sembra un Riesling oltrepadano e che vola alto, proprio come il suo prode interprete.

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