13 marzo 2014 | Alessio Pietrobattista

Spigolature di Terre di Toscana: Cupole in lontananza

di Alessio Pietrobattista
trinoro2

Curiosando tra i banchi di Terre di Toscana, tra aziende meno conosciute e grandi classici, con in bella mostra anteprime, riassaggi e qualche vecchia annata, è facile imbattersi in una sorpresa, in un vino che per quella giornata piazza il suo tarlo nella testa per farsi ricordare anche senza aver preso appunti.
Tenuta di Trinoro è stato il primo passo mosso da Andrea Franchetti per un cammino che l’ha portato sin alle pendici dell’Etna. Un’ azienda fuori dalle rotte classiche del vino toscano, un terroir diverso che negli anni è riuscito a costruirsi una propria identità, un proprio stile riconoscibile. Sul banchetto presente l’intera annata 2011, uno scontro tra titani di estratto e polpa avviene tra il Tenuta di Trinoro e il Palazzi, il famoso blend bordolese e il Merlot in purezza a rivaleggiare a colpi di frutta, mascolinità, spessore palatale e lunghezza. La scena potrebbero rubarla tranquillamente loro, possenti e vigorosi, quasi masticabili come sono, ma in realtà rappresentano solo la fine, il tassello finale di un interessante percorso gustativo.
Ad attirare l’interesse, contro ogni previsione dei bookmakers, è il Cupole, il vino “base” dell’azienda, quello a cui sono affidati i grandi numeri per un’azienda che in ogni caso produce quantitativi esigui. Si inizia con l’annata 2011, calda e siccitosa, che ha portato le viti ad un notevole stress idrico. L’olfatto è chiuso, scuro, quasi impenetrabile, da scalfire con lo scalpello, con lievi cenni di appassimento e frutta matura e goudron. Bocca che segue il naso, densa ma con la scorrevolezza necessaria.
Più scintillante e coinvolgente il 2010: l’annata schiarisce il frutto e lo rende più fresco, un mix di lampone, gelso e ribes, cenni di peperone rosso, tabacco e alloro. Bocca con maggior sprint acido, scorrevolezza e facilità senza scadere nel banale; c’è la pienezza come nello stile-Trinoro ma anche eleganza e bevibilità, piaciuto davvero.
Il 2007, servito da magnum, l’ho trovato, invece, troppo maturo, sui toni di rabarbaro e cioccolato, cuoio e thè, con il sorso segnato dal caramello e dalla liquirizia. Stavo quasi per interrogarmi sulla bontà della bottiglia stappata quando mi viene proposto il 1995, la prima annata di questo vino. Il coup de cœur, l’anello di congiunzione con St. Emilion per l’eleganza di un olfatto ancora giovanissimo con cassis, menta, cuoio, liquirizia, tabacco da pipa, qualche tocco animale di sottofondo che vira al cuoio, con spunti sanguigni e ferrosi. Bocca che è il paradigma della rilassatezza, tannino setoso, acidità ancora viva e guizzante, lunghezza non infinita ma che trova sapore in un finale di grande freschezza, aiutato da un tenore alcolico contenuto rispetto a quello delle annate più recenti.
Un gran vino, toscano fino al midollo ma bordolese nell’anima.

Lascia un Commento