13 maggio 2013 | Alessandro Masnaghetti

Verticale Il Sodaccio di Montevertine, alcuni appunti

di Alessandro Masnaghetti
sodaccio di montevertine

Difficile resistere alla tentazione: se Martino Manetti e sua moglie Liviana di Montevertine sono così gentili da invitarti alla degustazione verticale di un vino che non c’è più, il Sodaccio, dalla sua prima annata, 1981, ci si alza prima che lo faccia il sole e si parte spediti alla volta di San Miniato per affrontare un duro weekend di lavoro (:-).
Campo di gioco, Piazza del Popolo, localino delizioso di cui ho già avuto modo di scrivere e che consiglio vivamente all’avventore che si trovi da quelle parti.
Non sarà questa le sede per un racconto più approfondito, ma, anche questo, è il luogo per un piccolo gesto di riconoscenza nei confronti di coloro i cui nomi sono riportati sull’etichetta di questo vino da sangiovese: Sergio Manetti, Giulio Gambelli e Bruno Bini, il capocantiniere, “le mani” di Montevertine per tanti anni, recentemente scomparso.

E adesso, il mio podio personale, allargato a quattro.

1981: il classico vino “zitto e bevi”. La dimostrazione che davanti alla bellezza ogni tentativo di misurazione quantitativa s’infrange nel non-sense. Non ci sarà mai una definitiva spiegazione al fatto che preferiamo i Beatles ai Rolling Stones o Van Gogh a Picasso o che, nel corso della vita, cambieremo idea altre cento volte. E’ più “piccolo” di altri eppure meraviglioso, armonico e compiuto. Per cui, zitto e bevi.

1985: alla fine dei 12 round è quello che vince ai punti, anche se alla fine a te “giudice” ti stava più simpatico l’altro pugile. Ma tant’è, nel complesso, occhio-naso-bocca, finisce per spuntarla. Ha proprio quel profilo di molti ’85 di Toscana: ingessato, algido. Se ne sta per conto suo e non riesce a coinvolgerti del tutto.

1988: che bocca. Dall’ingresso alla fine ha ritmo, polpa, guizzo, capacità infiltrante del sapore e grande allungo. Avesse al naso lo stesso passo, sarebbe di un’altra dimensione.

1986: che naso. Di quelli che vorresti essere sotto quelle campane di vetro con la neve, che si vendono a mo’ di souvenir. Perchè nessun odore estraneo disturbi e nessun aroma del vino si perda, immaginando che, ogni tanto, arrivi qualcuno a capovolgerti per far cadere nuovamente la neve.
Mi dovrò accontentare di serbare il ricordo di quei profumi per tutto il tempo che riuscirò.
Avesse alla bocca lo stesso passo, sarebbe di un’altra dimensione anche lui.

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