25 marzo 2012 | Francesco Falcone

A nonno Ciccio

di Francesco Falcone
nonnociccio

Conosceva la sua campagna come la lingua della sua bocca.

Ne era il custode, il guardiano, il tutore, il governatore. Camminando guardava ogni cosa con la sicumera del padre padrone.

Di ogni luogo della Masseria Romano sapeva l’ombra più folta. La terra ha mille segreti, ma non per lui. Ogni passo al suo fianco era una scoperta.

L’uomo può essere forte, e lui per me era il più forte di tutti. L’avambraccio turgido, venoso, duro come la pietra, come le roccia della Murgia, come il peso della sua anima, come lo sguardo dei suoi occhi di ghiacchio. Una lama, un raggio laser, il cielo di un azzurro troppo nitido, accecante.

Un tronco di uomo, con le sue cicatrici e le sue ferite, un pezzo di terra tenace come l’argilla, il fuoco dentro come il rosso che la colora, l’orgoglio ruvido del contadino che la lavora.

Le sue mani grosse come mammelle di mucca, spaccate come i suoli d’agosto, e di tanto in tanto una carezza, leggera come il battito d’ali delle farfalle in amore impigliate nella trama nerastra dei rovi.

Novant’anni. Novanta primavere. Quasi un secolo. La sua terra è ormai arida e forse anche il suo cuore. Ma oggi è una giornata di pioggia che porta via il secco, che inumidisce bollendo, staccando le foglie deboli, nutrendo le radici di un albero ancora vivo, nonostante il peso del tempo.

Stappo Tradizione del Nonno di Pasquale Pichierri 2008 in suo onore: prugna e cioccolato, spezie e macchia, fuoco e slanci iodati e in bocca il velluto che avvolge e consola, e lampi salini che ti scuotono, e la mineralità di una terra piena di un trepestio serrato che pare una mandria di torelli. Come quelli della masseria che porto ancora dentro.

Buon compleanno, nonno.

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