3 gennaio 2014 | Alessio Pietrobattista

Come ti smonto il preconcetto: Sammarco 1997

di Alessio Pietrobattista
sammarco_1997

Il vino criptonite per l’appassionato al giorno d’oggi? Potrebbe avere i lineamenti di una soluzione idroalcolica da uve alloctone in prevalenza, da zona atta a DOC se non a DOCG per vini da vitigni autoctoni (almeno in maggioranza), magari con passaggio in barrique ipertostate e ipernuove, forse ancora da montare. Vabbè, l’avete capito: il profilo corrisponde perfettamente al modello di molti Supertuscan che negli anni ’90 fece furore presso le enoteche, gli stessi appassionati (poi pentiti in buona parte) e la critica enologica (non del tutto pentita a dire il vero). Nelle peggiori interpretazioni si trattava di vinoni scuri, con estratti alle stelle, anche se provenienti da zone come quella chiantigiana che, ad esclusione di zone dal clima più caldo, non sarebbero in grado di sfornare dei vini-pece. Quello dei Supertuscan è stato in ogni caso un modello che ha generato un grosso successo sul momento: sembrava che appiccicando un –aia nel nome del vino potesse risolversi qualsivoglia problema di mancanza di identità, storia, solidità stilistica, dando automaticamente prestigio ad un vino che di conseguenza doveva spuntare pezzi stratosferici. E’ stata una supernova (ideologica e commerciale) che ha visto alcuni dei suoi pezzi forti cadere, cambiare, stravolgersi nelle caratteristiche per adeguarsi ai tempi, nuovi adepti che non si sono accorti nel frattempo che qualcosina è cambiato e che di merlot sotto ai ponti ne è passato.
Tra questi di modelli solidi e di sicuro interesse ce ne sono: a parte quelli da uve autoctone (molti Supertuscan a base sangiovese resistono e prosperano alla grande, aggiungerei per fortuna), alcuni dei blend sopra citati hanno mantenuto una propria identità territoriale che l’invecchiamento ha dimostrato di amplificare in maniera netta (vedere a mio giudizio, le vecchie annate di Tignanello e Solaia). E’ successo con la bottiglia pescata dalla mia cantina, di quelle che forse ti dimentichi di aver comprato o ricevuto in regalo perché sommerse da una marea di altre cose che più stimolano l’interesse. “Aggravante” dell’essere un Supertuscan, e non dell’ultimo momento ma di solida tradizione, l’annata: 1997. L’ annata del secolo secondo buona parte della critica, il top of the pops, quella che ha portato alla ribalta l’italico stivale ma soprattutto la Toscana, dove è stata (generalizzando, ca va san dire) calda, generosa, con vini polputi, possenti, caldi e con un’aspettativa di vita verificatasi poi tutto sommato limitata. Eccolo un bel Sammarco 1997 di Castello dei Rampolla, uvaggio di cabernet sauvignon e una spruzzata di sangiovese, prodotto in quel di Panzano, la Conca d’oro del Chianti Classico.
I presupposti per preparare il cappotto a questo vino ci dovrebbero esser tutti, si potrebbe davvero immaginare una debacle, uno scatenarsi l’inferno al mio segnale. E invece ecco un vino rilassato, dal colore per nulla carico e impenetrabile, anzi granato intenso con dei lampi aranciati. Olfatto caldo e invitante con arancia, tabacco, humus, foglie secche, frutto che diventa via via più chiaro e netto e le speziature di legno di sandalo e chiodi di garofano più interessanti. Bocca smilza, tannino che ancora inchioda un po’ la bocca che però è allungata dall’acidità, corroborante e saporita. Pronto, al culmine della sua parabola, probabilmente più di questo non darà ed è da bere ora. Chiantigiano più che bordolese, toscano più che Supertuscan. Va bene così, richiamo le truppe, oggi non è tempo di scatenarle perché bisogna rendere l’onore delle armi.

Una risposta a “Come ti smonto il preconcetto: Sammarco 1997”

  1. Cristiana Lauro scrive:

    Questo vino è uno spettacolo e mi piace leggere questo post, audace di ‘sti tempi. Ho ribevuto recentemente alcune annate di Sammarco anche la ’97 che non aveva il piede nella fossa, tutt’altro! Il 2007 però è un vino che vorrei avere sotto al cuscino, per sicurezza, non si sa mai che muoia senza ;-) Invecchierà come Sean Connery ma ha una bevibilità incredibile anche adesso, un frutto pieno, buono. Non parliamo mai di frutto buono ma nel vino conterà qualcosa oppure no? L’uva conta o no? Pare che il campionato si giochi solo sul contenuto di solfiti e sull’acidità, come se l’acidità avesse un senso da sola, fuori dall’accordo con frutto e alcol. Bah! Poi non parliamo di Vigna d’Alceo, altro gigante. ’96 da cappottarsi. Una delle mie aziende preferite in Italia, da sempre. Ma finisce che beviamo tutti con pregiudizio, che viviamo con pregiudizio e ci avanza tempo solo per le opinioni.

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