17 maggio 2012 | Francesco Falcone

Il degustatore consapevole della sovranità del vino

di Francesco Falcone
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Quante volte un vino sulla nostra scrivania o sulla nostra tavola sembra prigioniero di incantesimi tutti suoi, catturato da una riduzione o da una chiusura a riccio o all’opposto da una evidente larghezza dei tratti?

In quei momenti, riusciamo a vederne le vere potenzialità al di là della superficie apparente – lasciando in un angolo la parte di noi che è tentata di ritrarsi – oppure mettiamo subito mano alla penna rossa?

Possiamo fare spazio nella nostra testa per capirlo, osservarlo, interpretarlo – senza però lavorare di immaginazione per compiacere noi stessi – evitando di dare una forma alle nostre certezze e ai nostri pregiudizi?

Rispettando la sovranità del vino che avremo di fronte (della tipologia, del vitigno, della denominazione) andiamo incontro al suo vero aspetto (più o meno compiuto, più o meno seducente, più o meno fruttato, più o meno tannico, eccetera eccetera) e lo lasciamo esprimere per quello che è, con i tempi, i modi, le dinamiche, gli strumenti a lui necessari.

A mio avviso la sovranità intesa in questo senso e in questo contesto significa assecondare e rispettare la natura del vino (della tipologia, del vitigno, della denominazione). A noi dunque tocca “solo riconoscerla”, per poi osservarla e farcene un’idea. Naturalmente, anche “solo riconoscerla” non è così facile. È il lavoro di tutta una carriera, se non di molte carriere.

Ricordarsi di afferrare le intrinseche qualità del vino che abbiamo nel bicchiere è un dovere e talvolta un rompicapo: anche quando le avvertiamo di meno o quando esse emergono con minore evidenza dobbiamo tentare di farle nostre. Dobbiamo provarci.

Accordare sovranità, badate bene, non è ipocrisia, non è sinonimo di “è tutto buono”, non significa accettare passivamente un difetto o una ridondanza, non significa che qualunque vino merita l’elogio.

Considerare sovrana la vera natura del vino è un’occasione per capire quali sono e come si esprimono le sue caratteristiche; è un’opportunità di crescita per noi bevitori (per registrare con umiltà le differenze, le sfumature, le particolarità); è l’unico modo, io credo, per entrare in sintonia non episodica con l’interprete che quel vino ha creato.

Significa in ultima analisi superare le apparenze, lasciando ad ogni vino lo spazio per emergere e formarsi.

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