6 marzo 2012 | Francesco Falcone

L’ italianità non è solo un buon bicchiere di Sangiovese

di Francesco Falcone
calciobalilla

Non sono mai stato un tifoso sfegatato, di quelli che vanno allo stadio e che tengono alla loro squadra del cuore al punto da assumere copiose quantità di xanax prima di una partita importante. Anche perché io tifo per la Doria, che di partite importanti ormai non ne gioca più.

Ho però una venerazione per il calcio-balilla: un cassettone rettangolare con una base in vetro, quattro gambe arruginite, otto manopole ossidate, ventidue ometti di plastica (undici rossi e undici azzurri). Un toccasana dopo un pranzo domenicale generosamente innaffiato dal liquido odoroso.

Ahinoi è però una razza di gioco in via di estinzione, assassinata anno dopo anno prima dai video-games eppoi dalle tristi saghe della playstation (1-2-3-4 e via enumerando). Il calcio-balilla (più familiarmente calcetto o biliardino), fino a non molti anni fa abitava in tutti i bar italiani, in tutti i circoli, in tutti i luoghi e in tutti i “laghi” ricreativi, sebbene il suo posto ideale fosse la spiaggia: da maggio a settembre era infatti lui il protagonista dei 7458 chilometri di costa italiana. E pazienza se da ottobre ad aprile finiva in quei depositi umidi e oscuri, dall’inconfondibile profumo di materassino, nei quali i bagnini ripongono sdraio, ombrelloni, mosconi, giochi abbandonati, pinne spaiate, mascherine, canotti e altri arredi di mare.

Tra i suoi inestimabili pregi (il più “alto” dei quali era la capacità socializzante), ne aveva uno decisivo: con una serie di banali trucchetti si poteva giocare con duecento lire a testa per interi pomeriggi. Il più classico consisteva nell’inserire un bastoncino di mottarello spezzato in due lungo le barra da tirare verso l’esterno per far scendere le palline, bloccandola e costringendo così le sfere terminate in rete a tornare in gioco. Per la seconda “furbata” bastava collocare due fogli di giornale nelle porte che impedivano alla palla di scendere nel vorace ventre del cassettone.

Visto che di questi tempi il classico sta tornando a galla, nel cinema e nella moda e soprattutto nel vino, visto che abbiamo salvato dall’erosione intere popolazioni di vitigni rarissimi, allora proviamo a rilanciare anche il biliardino, proviamo a difenderne la sua funzione sociale, proviamo a scongiurare la sua scomparsa.

Mi rivolgo soprattutto alla comunità degli assaggiatori: oggi siete messi alla prova da interrogativi ben più radicali, volti a riconfigurare la possibilità stessa di un risalimento critico del gusto del vino, di una sua interna problematizzazione, ma vi prego, non dimenticatevi di quel gioco così antico e democratico, della sua rumorosità schioccante e allegra, della sua salutare capacità di smaltire la sbornia, della sua straordinaria italianità

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