6 febbraio 2014 | Alessandro Masnaghetti

Lambrusco di Sorbara Radice 2012, Paltrinieri

di Alessandro Masnaghetti
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A un certo punto e a un punto certo, come avrebbe detto Frengo e Stop, il mondo della critica e dei cosiddetti “appassionati evoluti” (absit iniuria verbis) si ricordò, quasi all’improvviso salvo eccezioni, dell’esistenza del Lambrusco. O meglio, dei Lambrusco, con quel plurale assolutamente necessario per orientarsi in un maxi distretto dove convivono decine di variabili rispetto a cloni, tipologie, zone, gestioni viticole, stili e volumi produttivi.

Fase 1: oh, ragazzi, lo sapete che questo Lambrusco non è mica solo quella orrida bevanda gassata che troviamo al supermercato nei boccioni da 5 litri?
Articoli, post o passaparola, si mette in moto quel famoso “circolo virtuoso”, che nel vino può significare, con confini a volte molto labili, sviluppo a lungo termine o moda momentanea.

Fase 2: moda momentanea non sembra essere e arriva perfino il giorno in cui qualche Lambrusco finisce nelle liste dei premiati dalle varie guide. Non tutti sono d’accordo, sia chiaro: da una parte i frizzantisti della prima ora contestano uno sdoganamento poco sincero e molto paraculo per un vino effettivamente “molto social”, dall’altra non mancano lettori e acquirenti che proprio non riescono a capire come possa finire nello stesso elenco top un Lambrusco da 5 euro e un Barolo o un Brunello. Volete dire che i 90 punti non sono un concetto assoluto, cari guidaioli? Allora ci avete preso in giro tutti questi anni? Non voglio esagerare, ma nel processo di demolizione “ideologica” dello strumento guida hanno avuto la loro parte anche le discussioni sui meccanismi gerarchici legati a tipologie “semplici” o finto-semplici, economiche o convenienti, beverine o gastronomiche, a seconda dei punti di vista. Molte di queste sono in corso ancora adesso su forum e gruppi enoici, ma ve le risparmio e soprattutto non hanno impedito di passare alla:

Fase 3: non è più sufficiente dire “Lambrusco buono”, bisogna ulteriormente sfrondare e cercare quelle interpretazioni che più si avvicinano alla sensibilità espressiva della comunità maggiormente attiva e parlante. Basta poco per erigere un nuovo totem a Sorbara, con quella sua tinta così luminosamente scarica, con quei fruttini rossi che se dico “pinotteggiante” magari la passo liscia, quel passo tanto snello e martellante che forse riesco perfino a fregare qualcuno in una cieca, inducendolo a dire: Champagne.

Fase 4: nemmeno Sorbara basta più come risposta alla domanda “dove vado a grufolare per qualche bottiglia giusta capace di accontentare contemporaneamente il mio portafogli, il mio gusto attuale e quello dei miei amici, il divertimento a tavola e pure la mia parte snob? E allora via a caccia di quei Sorbara che nel loro dna portano i tratti caratteriali di cru vocati, rinunciano ad ogni tentazione dolcina e fruttosa, ri-obbligano a fare i conti con il concetto di annata (quasi abbandonato nel mondo dei Lambrusco) e magari riescono pure ad invecchiare con sicurezza qualche anno in cantina. Meglio ancora se il loro viaggio verso la dimensione mossa è affidato non alla fredda e moderna autoclave, ma alla rifermentazione naturale in bottiglia indotta con metodo ancestrale.

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Quando sei arrivato a questo punto, in genere ti chiami Dario Cappelloni e ti trovi al Cristo di Sorbara, dove stai caricando svariate casse di Radice nel cortile della cantina di Alberto Paltrinieri e famiglia. E’ grazie a lui (e ad Antonio Boco) se un giorno là davanti ci sono finito anch’io, desideroso di rifornimenti adeguati per accompagnare i tortellini in brodo di mia moglie e il piatto di bollito complementare, una merenda a base di salumi e, perché no, un dopocena con film. Purtroppo o per fortuna una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale e la bontà dei Lambrusco di Paltrinieri è presto diventata idea condivisa da molti appassionati. Con tanto di ricaduta sui prezzi, perché il Radice si vende oggi in azienda alla folle cifra di 7,50 euro (costava 5 euro fino a 3-4 anni fa, capito che voglio dire?) Paradossalmente ad un prezzo inferiore rispetto al “fratello” Eclisse, rifermentato con metodo Charmat lungo. E qui viene fuori in maniera magnifica tutta la concretezza manifatturiera emiliana: interrogato da Antonio Boco sul perché di questa “inversione” rispetto alle consuete gerarchie di prezzo, Alberto Paltrinieri gli risponde che nell’ancestrale Radice bisogna soltanto imbottigliare e tappare, per lo Charmat Eclisse si deve usare un contenitore che va acquistato inizialmente e usato con la corrente elettrica. Ergo, ci sono più costi produttivi per un metodo Martinotti rispetto ad un metodo classico: a pensarci bene, non fa una piega.

Non è una partita chiusa, ma di solito a me piace di più il Radice e il 2012 da poco ristappato mi ha ricordato perché. Mi era venuto qualche dubbio ascoltando le impressioni di amici e colleghi con cui di solito sono in sintonia, che mi parlavano di una versione deludente in rapporto alle aspettative, condizionata da un profilo stranamente fermentativo e una bocca fin troppo scarna e docile. Nel mio bicchiere si è invece materializzato il “solito” Radice dal frutto chiaro e trasparente, ampliato da tocchi agrumati e suggestioni marine, coerentemente riproposti in un sorso secco e affilato, non perfetto nella grana effervescente ma in ogni caso denso di ritmo e sapore. Probabilmente non siamo sui livelli dello strepitoso 2010, ma per me è piena soddifazione e credo che valutazioni diverse possano essere spiegate anche con una certa variabilità di bottiglie, forse il limite maggiore in questo momento (solo in parte giustificato dal metodo ancestrale) per il Sorbara più “estremo” della gamma di Paltrinieri.

Ps per la serie viva le dop italiane, il disciplinare del Lambrusco di Sorbara non consente la tappatura con chiusure diverse dal sughero e non permette di utilizzare per l’imbottigliamento formati superiori alla 0,75. La famiglia Paltrinieri è costretta, pertanto, a fare uscire il proprio Radice (lo stesso vino) come Lambrusco di Modena quando realizza delle magnum oppure quando adopera il tappo a corona.

2 risposte a “Lambrusco di Sorbara Radice 2012, Paltrinieri”

  1. Matteo Tinti scrive:

    I vini Paltrinieri sono il top!

    Matteo e Famiglia Tinti

  2. dario cappelloni scrive:

    Certo che ne esco come uno fuori di testa, ma per il Radice questo ed altro. Tornando seriamente all’oggetto di tanta attenzione direi che il mio entusiasmo per il 2012 deriva probabilmente proprio dal formato “doppio” con tappo a corona che ne ha esaltato la componente fruttata e uno sprint che la bottiglia da 75cl non aveva così definite. Resta comunque inalterata l’assoluta piacevolezza e contagiosa allegria, molto champagnesca (chamapagnista, champista?) di questo vino.

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