27 maggio 2014 | Alessandro Masnaghetti

Albana Dei (prima parte)

di Alessandro Masnaghetti
Torre_dozza

C’è solo una figura dell’enomondo caduta in disgrazia oggi più del guidaiolo, nel senso di facitore di guide. E’ l’organizzatore di Anteprime e Concorsi del vino, additato come responsabile dei più turpi reati nei confronti della bevanda cara a bacco, umiliata dalla logica delle batterie, degli assaggi frettolosi lontani dalla tavola e delle classifiche modello hit parade.

Obiezioni sacrosante, per carità, eppure senza queste vituperate adunate più o meno en primeur si restringerebbero di parecchio le possibilità di entrare in contatto con zone lontane o comunque poco battute. Devo quindi ringraziare il Masna e gli organizzatori di Albana Dei per avermi dato modo di passare qualche ora nella “splendida cornice” (questa volta ci sta proprio bene) del Castello Sforzesco di Dozza, sede dell’enoteca regionale dell’Emilia Romagna, a riprendere confidenza con una denominazione tanto storica quanto trascurata, purtroppo non solo da me.

Un intero weekend dedicato all’Albana di Romagna, in particolare alle sue versioni secche, protagoniste di un vero e proprio concorso, strutturato con l’ausilio di una giuria tecnica e una popolare, come ben spiegato qui.

A noi riuniti per la sessione “specialistica” spettava il compito di indicare gli assaggi più convincenti, scremando un gruppo iniziale composto da una quarantina di interpretazioni. Nei giorni successivi, invece, i voti degli appassionati avrebbero eletto le migliori Albana nelle rispettive categorie: “All’antica”, “Equilibrio”, “Del cuore”. Distinzioni che già spiegano, meglio di tante parole, alcune delle difficoltà che l’Albana di Romagna incontra in termini di conoscenza e diffusione al di fuori dell’ambito locale. E’ necessario maneggiare in maniera approfondita il quadro stilistico e produttivo, altrimenti risulta parecchio complicato trovare un filo conduttore in una serie di vini che quasi non sembrano appartenere alla stessa denominazione. Rientrano formalmente nella stessa tipologia, infatti, bianchi completamente diversi tra loro per espressività e collocazione a tavola.

La divisione delle nomination nel concorso di Albana Dei prova a sintetizzare queste “macro-categorie”. La categoria “Equilibrio” accoglie quelle Albana “moderne”, vinificate classicamente in acciaio, con immediata separazione del mosto dalle bucce, magari con l’ausilio del freddo, protocolli riduttivi e inoculo di lieviti, talvolta aromatici. La definizione “all’antica” cerca invece di restituire il carattere di quelle Albana prodotte dopo un tempo più o meno lungo di macerazione, con affinamento in acciaio, legno o, sempre di più nell’ultimo periodo, anfore di terracotta. La distinzione tra le due filosofie enologiche non sono sempre così nette, chiaramente, ma il range sembra attraversare l’intero arco organolettico del vino bianco. Vengono etichettati come Albana di Romagna vini leggeri e profumati, in alcuni casi fin troppo slavati e “anonimi”, segnati dall’apporto dei lieviti e praticamente impossibili da collocare territorialmente. Ma anche, sul versante opposto, vini di forte impronta fenolica, giocati su note terziarie e speziate, spesso accompagnati da sensazioni tanniche, a volte decisamente rustiche e aggressive.

Parlare di “tipicità” dell’Albana vuol dire imboccare un terreno piuttosto scivoloso, insomma, ma appuntamenti come questi servono anche a confrontarsi su aspetti che vanno al di là delle classifiche di gradimento. Come dicevo all’inizio, non posso certo definirmi un esperto della tipologia, ho alle spalle assaggi troppo sporadici e con poche possibilità di verifica nel tempo. Posso però dire che, da compratore-appassionato, una piccola somma per approfondire il mondo dell’Albana oggi la investirei più facilmente sui vini idealmente appartenenti al secondo gruppo. Non sono probabilmente le bottiglie da stappare tutte le sere, con qualsiasi piatto, ma ci trovo comunque spunti di personalità che mi incuriosiscono maggiormente. Mi piace pensare che queste interpretazioni, davvero “all’antica” o meno non importa, provino ad assecondare più che combattere la tempra per molti versi “jazz” del vitigno romagnolo, che deve fare i conti col suo limitato corredo primario, la buccia sottile, la sensibilità alla botryte, l’imprevedibilità delle curve di maturazione.

Se Albana Secca deve essere, consentitemi la provocazione, che sia una bottiglia da mettere a tavola e far dialogare con la cucina non sempre “light” delle colline romagnole, piuttosto che sgargarozzarla come aperitivo e rischiando di confonderla con cento altre varietà di cento altri territori. Resto comunque convinto che le vette massime, anche da un punto di vista emozionale, siano raggiunte del vitigno nelle sue versioni con residuo zuccherino originate da raccolte tardive, magari botrytizzate e passite. Alcuni dei più appaganti e completi vini dolci italiani che ho bevuto recavano in etichetta la dicitura Albana di Romagna: da qualunque punto la si veda, vale in ogni caso la pena a mio avviso prevedere qualche finestra in più di attenzione per una zona con tante frecce al proprio arco, a partire dalle sue eccellenze ambientali e gastronomiche. CONTINUA…

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