18 febbraio 2014 | Alessio Pietrobattista

Spigolature di Sangiovese Purosangue: Pieve de’ Pitti, da Pisa con passione

di Alessio Pietrobattista
pieve de pitti

Il Chianti continua a stupirmi (e a confondermi in molti casi). E’ un argomento di una vastità incredibile, un territorio con sfaccettature davvero interessanti e, puntualmente, c’è sempre un tassello da aggiungere al proprio mosaico perennemente incompleto della macroarea toscana. Per esempio: un Chianti di Pisa quanti l’hanno bevuto? Certo, non è una zona appartenente all’area classica, non è prodotto nel senese o nelle propaggini a nord che entrano nella provincia di Firenze, ma è di sicuro interesse poter scoprire aziende come quella di Caterina Gargari in grado di fare un lavoro così interessante sul sangiovese. Ed è davvero curioso scoprire come in quel di Terricciola, lontana probabilmente dai riflettori dell’informazione vinosa, l’andamento climatico di alcune annate, come ad esempio la 2013 e la 2007, sia completamente diverso rispetto a quello di altre aree a noi più familiari.
Non solo Sangiovese ma anche bianchi tutt’altro che scontati, come l’Aprilante 2012, da vermentino in purezza, agrumato e salmastro, iodato quasi come un’ostrica. Bocca lieve e tratteggiata, sottile e sinuosa, salata e piacevole. Si beve assai volentieri, insomma. Sempre in tema bianchi, ma cambiando vitigno, il Tribiana 2011, da trebbiano toscano, mostra un impatto più maturo giocato sulle dolcezze. Manca quel guizzo di acidità in più a slanciare le morbidezze gustative ma di sicuro l’annata incide.
Si passa poi ai campioni di casa.

Verticale Chianti Superiore DOCG Cerretello 2008 – 2011 (sangiovese 90%, canaiolo 5%, malvasia nera 5%)
Niente legno, solo vasca di cemento per mantenere l’anima piacevolmente rustica del Sangiovese. A convincermi pienamente, anche a causa del maggiore affinamento in bottiglia, è il 2008: fresco, acido, succoso, un peso leggero che saetta qua e là nella bocca con fare dinamico. Il 2009 è invece il fratello più grosso e massiccio, più scuro al naso con la mora a far capolino, dal passo più compassato e per questo, ad oggi, maggiormente leggibile. Il 2010 paga invece un filo di immaturità derivante dall’annata: la bocca è bella, con il tratto sapido comune a tutti i vini, ma è il naso ad essere ancora indecifrabile, con qualche sussurro verde in sottofondo ad accompagnare la fragola di bosco. Il 2011 è un campione da vasca, ovviamente con qualche riduzione qua e là ma ha struttura da vendere e buona sostanza. La prima annata prodotta di questo vino è la 2000 ma ha già un’impronta più definita.

Verticale Moro di Pava IGT 2006 – 2009 (sangiovese 100%)
Entra in campo il supertuscan da solo sangiovese, prodotto dal 2001. E’ quello dove si concentrano anche le varie sperimentazioni di Caterina con l’affinamento, ed è certamente quello che più mi ha spiazzato. A cominciare dal 2006, affinato in barrique, che si presenta maturo e tabaccoso, tutto foglie secche e terra ma che si asciuga al sorso, frenato da un tannino ancora spigoloso. Il 2007 è invece fine ed elegante, sul frutto chiaro e solare tra arancia e ciliegia, davvero convincente. Meno intensa la bocca che paga un filo di diluizione al centro ma che si riscatta sul finale con una gustosa scia sapida. In ogni caso un bel balzo in avanti rispetto all’annata precedente. Progressione confermata dal 2008, affinato in cemento: la bottiglia in degustazione è ancora chiusa a riccio, il frutto rosso ben maturo c’è ma si scorge appena. Migliorano le cose con una bottiglia stappata 24 ore prima: vino disteso all’olfatto, chiaro e limpido con lampone e ribes, con contorni salmastri e una bocca elettrica per acidità e sapore. L’annata 2008 si conferma davvero ottima. Altra conferma viene dalla 2009, anche in questo caso vino più immediato, leggibile ma che non difetta in carattere e progressione gustativa, sempre su toni lievemente più scuri e terrosi.

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