16 gennaio 2012 | Alessandro Masnaghetti

Varenne

di Alessandro Masnaghetti
varenneELABOR

Si risolse tutto negli ultimi seicento metri.
Era il 27 maggio 2001, una soleggiata domenica primaverile e trentacinquemila svedesi iniziarono ad urlare dissennati saltando all’in piedi nell’ippodromo di Solvalla, a Stoccolma, dove si svolgeva l’Elitloppet, una delle più vecchie corse europee, terza prova del Grande Slam.
Avanti neanche un metro l’avversario di sempre, quello ancora da battere, lo svedese Victory Tilly guidato dall’uomo di ghiaccio Stig Johansson, sei volte vincitore dell’Elitloppet.
Eppure a seicento metri dall’arrivo, molti di quei trentacinquemila svedesi, presero ad urlare per incitare il trottatore italiano più grande di sempre, figlio dello stallone americano Waikiki Beach e della fattrice emiliana Ialmaz, dal nome Varenne, conosciuto come Il Capitano, che inseguiva ad un metro il beniamino di casa.
Era nato il 29 maggio 1995 nell’allevamento Zenzalino in provincia di Ferrara e il suo esordio avvenne circa tre anni dopo, ad aprile del ‘98, all’ippodromo Primavalle di Bologna. Gareggiavano i giovani puledri dalla lettera V. Varenne ha il numero 4. È condotto proprio da uno svedese, Roger Grudin. Sarà la prima e ultima volta.
Alla partenza sbaglia l’allineamento e rimane in terza fila acquattato, conduce Varsavia fin quando all’inizio dell’ultima curva viene affiancato da questo esordiente con un problema ad una cartilagine, al nodello posteriore destro, che passa al comando. Tuttavia il Capitano rompe, va al galoppo, scurva largo perdendo giri e posizioni e viene squalificato. Quasi esce dall’inquadratura della telecamera. Quasi. Gli ultimi quattrocento metri sembra un proiettile sparato da chissà quale cannone, fila tre volte alla velocità degli altri e nonostante fuori gara, trotta al traguardo per primo. Impossibile non notarlo.
Sarà venduto alla cifra record di 150.000 milioni, acquistato da un appassionato napoletano a cui, il driver che lo guiderà di li in poi e per sempre, Giampaolo Minucci, dirà: “Prendilo, non ti preoccupare della cifra. I soldi rientreranno con gli interessi”.
Il giorno della verità arriverà sei mesi dopo, ad ottobre. Si svolge a Roma all’ippodromo di Tor di Valle il Derby del Trotto, 1 miliardo di montepremi e Varenne correrà contro la speranza del trotto italiano, il favorito Viking Kronos, abituato a vincere per dispersione con il driver che sbeffeggia gli avversari. I due si erano già incrociati qualche mese prima e sul tabellino si annoterà una delle poche sconfitte di Varenne.
Quella sera, invece, Varenne frantuma l’avversario. In testa dall’inizio alla fine: a Viking Kronos, dopo una brevissima carriera di 11 gare con 9 vittorie, rimane solo il ritiro.
Adesso la speranza del trotto italiano ha un unico nome ed è quello di Varenne.
Il 1999 sarà l’anno della consacrazione. Vince il Città di Padova a marzo, poi il Città di Torino, a maggio s’impone a San Siro e a Montecatini, poi Firenze e di nuovo a Roma dove consegue il prestigioso Gran Premio Triossi. Poi il città di Taranto, ad agosto Cesena e Follonica, a settembre Napoli, ad ottobre vince il Continentale a Bologna. Il trotto italiano ha trovato il suo campionissimo e ne ha conferma il 14 Novembre 1999 quando al Gran Premio delle Nazioni a Milano, alla sua seconda competizione internazionale, Varenne batte Moni Maker, la cavalla più forte degli ultimi trent’anni e la più ricca di sempre con i suoi 5 milioni di dollari di vincite.
È il 2000, Varenne ha cinque anni e ha la possibilità di affacciarsi sul panorama internazionale e gareggiare con gli stalloni più forti del mondo, partecipando a gennaio al Grand Prix d’Amerique di Parigi, la corsa faro del trotto, vinta da un solo cavallo italiano, Mistero, nel lontano 1946.
Dovrà attendere; sarà battuto da uno dei suoi storici avversari, il francese Général du Pommeau, ma avrà modo di rifarsi di li a qualche mese a Goteborg demolendolo e correndo sempre all’esterno. È, semplicemente, il delirio.
2001, entra nella leggenda. Dopo aver vinto a San Siro il premio Encat, Varenne si ripresenta il 28 gennaio a Parigi per il Grand Prix d’Amerique. Stravince davanti a quattromila italiani. Il 6 maggio, per il secondo anno consecutivo, vince il Gran Premio Lotteria di Agnano a Napoli. Adesso, per agguantare il Grande Slam, manca solo l’Elitlopp.
È una domenica tersa e soleggiata di maggio, sugli spalti ci sono mille bandiere italiane e trentacinquemila svedesi festosi accorsi non per scommettere, ma per ammirare lo sport dell’ippica. Varenne dopo aver vinto agevolmente la seconda batteria si presenta in finale. Numero 2. Victory Tilly, l’unico che sia riuscito a tenergli testa nella sua carriera, ha il numero 3.
Victory Tilly parte subito forte e staccandosi dall’allineamento s’impone all’interno e conduce tutta la gara con Varenne incollato a ruota. Fino agli ultimi seicento metri.
All’inizio della curva Varenne inizia a rimontare il suo avversario, a metà curva sembra che i due sulky stiano per toccarsi. A fine curva sono praticamente appaiati e davanti c’è solo l’ultima retta prima dell’arrivo.
Campioni del mondo.
Varenne non solo vincerà, ma staccherà Victory Tilly che sfiancato perderà anche la seconda posizione al fotofinish a favore di un altro cavallo italiano, Solar Effe.
Trentacinquemila svedesi urlano come dannati.
Varenne, dopo il grande Slam, volerà a New York per partecipare il 28 luglio alle irraggiungibili, per i cavalli europei, Breeders Crown. Sfiderà i più forti trottatori americani. Al Meadowlands, a Varenne bastano i 600 metri finali per abbattere il paladino locale, Dream Vacation, fermando il tempo a 1.09.1. È il primo recorder del mondo non americano, il primo non americano a vincere a New York e l’unico cavallo della storia che abbia mai vinto in un anno le 4 corse più importanti del mondo.
Bisserà il grande slam anche l’anno dopo, davanti ai soliti avversari, Victory Tilly, il francese Général du Pommeau e si ritirerà il 28 settembre di quell’anno con una squalifica così come aveva iniziato. Il trottatore più grande e ricco di sempre con più di sei milioni di euro di vincita disputa 73 gare vincendone 62. È stato nominato da Maria Pia Fanfani Ambasciatore di pace, le persone pagavano solo per poterlo toccare, Enzo Jannaci gli dedicò una canzone, Raffaele Di Matteo, pescatore di Boscotrecase, diede al suo terzogenito il nome di Varenne Giampaolo. Emilia Blasi, la moglie, non apprezzò e gli fece causa.
Quando Luigi Tecce mi raccontò la storia di Varenne vincere il primo grande Slam, stava urlando all’in piedi indossando un cappello da aviatore a mo’ di colbacco in piena estasi. Accanto un suo amico rideva raggomitolato vicino al camino acceso. Alla mia destra una collega scattava delle foto. Eravamo in una stanzetta fredda e spoglia con soltanto un lavello e qualche pentola, seduti su 4 sedie di fortuna, di fianco la legnaia e la cantina: un fabbricato rurale in pietra che conteneva alcune botti di diverse dimensioni. Non lo avessi saputo, di trovarmi nella quiete di Paternopoli ad assaggiare il suo Taurasi del 2001 prodotto e mai commercializzato ma dedicato ad un cavallo di nome Varenne, avrei creduto di essere nascosto tra le montagne ad intervistare chissà quale miliziano serbo o bosniaco.
Dall’altra parte della valle del Calore Montemarano e la vigna cinque querce si nascondevano nel buio che calava sull’orizzonte.

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