18 marzo 2012 | Francesco Falcone

Anni ’80 in Langa: Barolo Cerequio 1989, Roberto Voerzio

di Francesco Falcone
cerequio

Gli anni ’80 in Langa sono stati un autentico motore di formazione e di riscatto per centinaia di vignaioli. In quel periodo tanti contadini hanno preso coscienza di sé, hanno acquisito senso critico, capacità di valutazione, hanno cominciato a mettere il naso fuori dal proprio cortile: un salto enorme rispetto ai decenni precedenti, una piccola, grande rivoluzione enologica, viticola e stilistica alimentata da un gruppo articolato ed eterogeneo di produttori curiosi, affamati, ambiziosi, coraggiosi.

Il movimento “innovativo” di Barolo e Barbaresco ha voluto dire una fortissima tensione a puntare in alto, al meglio, all’aggiornamento, a familiarizzarsi con produttori e vini non italiani. Ha voluto dire rompere una certa aria di classicismo paludato, di elitarismo commerciale che circolava, e molto, nell’ambiente delle (poche) aziende imbottigliatrici degli anni ’60/’70.

Ha voluto dire una volontà radicale – seppure talvolta condita di una certa ingenuità – di diventare moderni, benitenso anche ripudiando il migliore patrimonio del passato (e questo fu un errore). Così come un errore furono gli eccessi (in cantina, soprattutto) che come in tutte le rivoluzioni hanno il difetto storico di mettere in un angolo perfino i risultati più felici.

E se è vero che abbastanza raramente questa modernità di idee e di espressione si è posta l’obiettivo dell’autenticità a un modello prestabilito, è vero altrettanto che senza quel periodo di così grande fermento, per certi versi un po’ “incasinato”, oggi non potremmo parlare di modernità e tradizione perché tutto sarebbe “antico” e impolverato. E senz’altro saremmo tutti più poveri, come ha scritto il Masna in un post di qualche settimana fa.

Tra i produttori della “nouvelle vague” langarola che hanno maggiormente contributo all’affermazione del Barolo d’autore sui mercati internazionali, v’è certamente Roberto Voerzio di La Morra, un cavallo di razza che ha sempre corso per proprio conto: non ha mai aderito alla prestigiosa “scuderia” di “Langa In” di Giorgio Rivetti&Co, né al gruppo dei giovani viticoltori di La Morra vicini alle idee iper avanguardiste di Elio Altare.

I Barolo più buoni Roberto li ha prodotti dalla fine degli anni Ottanta alla fine dei Novanta: un decennio di grandissimi vini, fatti di materia, profondità e personalità fuori dal comune.

Ieri sera ho avuto la chance di stappare nuovamente il suo Cerequio 1989, cru di prima categoria posto a cavallo tra Barolo e La Morra (vedi foto di Alessandro Masnaghetti): una bottiglia sensazionale, tra le più grandi bevute negli ultimi anni.

Così folgorante da rimanere senza parole.

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