22 gennaio 2012 | Francesco Falcone

Degustatio: spigolature

di Francesco Falcone
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Cervia, venerdì sera. In un posto in centro, mi appresto a guidare una degustazione con una dozzina di rossi toscani. Una miscellanea di etichette, tra nuove e vecchie annate, scelte nelle principali denominazioni della regione. All’appuntamento sono presenti solo bevitori curiosi, nessun enologo, nessun agronomo, nessun biologo, nessun superesperto, nessun guru di turno, solo un gruppetto di giovani e giovanissimi habitué a cui, mi dicono, piace bere. Tutto facile per il sottoscritto? Nemmeno per idea.
Cinque di loro (due uomini e tre donne), ovvero poco meno di un quinto del pubblico presente in sala, prima di iniziare ad assaggiare, mi rivolgono una domanda a bruciapelo sui primi quattro vini in scaletta: <<lieviti selezionati o lieviti indigeni, fermentazione spontanea o biotecnologica?>>. Biotecnologica? Oh santiddio, ci siamo!
Quindici anni fa mi chiedevano della resa per ettaro, poi della provenienza del rovere (tronsé, allié), poi della dimensione della botte (piccola, media, grande, grandissima), poi se la temperatura fosse oppure no controllata, poi se il vino (non le uve) fosse bio o convenzionali e infine oggi, gennaio 2012, vogliono sapere che tipo di lievito usa il produttore. Non me lo sarei mai aspettato.
<<Non sono preparato sull’argomento>>, gli ho risposto, facendo ai loro occhi la figura dell’incompetente. <<Ben mi sta, la prossima volta sta’ a casa con i tuoi figli, invece di fare il fenomeno da baraccone in giro>>, mi sono detto. I cinque “balabiot” (per dirla con Gualtiero Marchesi) che avevo davanti non l’hanno presa bene, e sono certo che non verranno più alle mie degustazioni. Me ne farò una ragione.
A proposito di ragione, provo a ragionare e a esprimere il mio punto di vista a riguardo: 1) penso che sia molto importante essere curiosi, conoscere nel dettaglio le vicende di un’azienda e di un vino e naturalmente avere delle preferenze. Per amor del cielo, avere delle preferenze è sacrosanto. Se vi stanno sulle balle i lieviti selezionati, liberissimi di esserlo. Basta solo informarsi prima: i vegetariani convinti vanno da Pietro Leemann, non da Carlo Cracco. 2) Penso allo stesso tempo che prima di fare domande – ammesso che siano pertinenti – e prima di prendere posizioni – ammesso che si abbia la consapevolezza per prenderle – sia utile farsi un’opionione senza pregiudizi. E non parlo solo di vino. La prima volta che proposi alla mia compagna di vedere un film di François Truffaut mi rispose di no, perché aveva sentito dire da tutti (ma tutti chi?) che i suoi film erano una palla. Poi la persuasi (in realtà si trattò di una minaccia;-) a guardare Effetto Notte e da allora conosce a memoria la sua filmografia. Un po’ di apertura, please. 3) Penso che la stessa apertura debba averla in primo luogo il produttore. Di vino, intendo. Per lui è ancora più importante ragionare con la propria testa e osservare con sensibilità il proprio territorio e la propria uva. Per lui è davvero fondamentale non farsi condizionare da luoghi comuni, mode (effimere) e presunti opinion leader. Anche perché non è lo spartito o il violino che fanno la musica, ma il violinista.

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