22 febbraio 2012 | Francesco Falcone

Furore bianco 2008, Marisa Cuomo

di Francesco Falcone
marisa cuomo

Biancatenera e Biancazita non sono varietà nel catalogo dei pastai di Gragnano, bensì i nomi con cui nella costiera amalfitana sono meglio note le uve biancolella e falanghina. Così come “Furore” non è lo pseudonimo di un novello Rino Ringhio Gattuso di origini campane (ce ne fossero!), né una nuova edizione del programma televisivo che lanciò il presentatore pugliese Alessandro Greco (appassionatissimo di vino, tra l’altro), ma un affascinante comune affacciato sul Golfo di Salerno. Il posto è da cartolina, si sa, ma l’immagine più nitida che conservo di quella terra è legato proprio alla viticoltura. Una viticoltura antica e sofferta, dove la vigna, sovente piantata su piede franco, è allevata con una speciale pergola orizzontale (detta raggiera atipica), debitamente ingabbiata da terrazzamenti di pietra. Nel 2001 visitai la cantina Marisa Cuomo: ricordo bene quella giornata trascorsa in vigna con il bravo e appassionato Andrea Ferraioli, così come difficilmente dimenticherò il lauto pranzo consumato al Don Alfonso di Sant’Agata in compagnia di Mauro Piscini (ristoratore a Concesio di Brescia). Di Andrea e Marisa tanti bevitori conoscono il bianco più noto e premiato dalla critica (la selezione Fiorduva), ma non vanno affatto sottovalutate le doti di equilibrio dei cosidetti vini di base, di buona tecnica, di spiccata spontaneità gustativa e di discreta resistenza in bottiglia. Il Furore Bianco 2008, aperto domenica a pranzo, ne è l’esempio più cristallino: placido e definito, snello e saporito, “aùmm aùmm” si è lasciato bere (perfino da mio padre, quasi astemio) fino all’ultima goccia.

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