3 maggio 2012 | Francesco Falcone

Il degustatore che sa accettare è un buon degustatore

di Francesco Falcone
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Ieri, in una degustazione con altri appassionati, mi è capitato di assaggiare un Barolo – a mio avviso ineccepibile – prodotto da un’azienda dalla fama non straordinaria – almeno tra gli amatori più esigenti. Molti degli assaggiatori presenti erano talmente condizionati dal nome di quella bottiglia e dallo stile del vino – diciamo moderno- che hanno faticato a cogliere ciò che di buono andava esprimendo.

Un esempio di quanto sia difficile per un assaggiatore non farsi influenzare. Per questa ragione e per tante altre che cercherò di spiegare di seguito, tra gli elementi fondamentali per essere un degustatore consapevole io ci metto “l’accettazione”. Da sempre.

Cos’è l’accettazione quando si assaggia un vino? Per semplificare, direi che si tratta di un orientamento a riconoscere con critica dinamicità i vini come sono, che ci piacciano o meno, che si tratti di vini bio o convenzionali (che brutta parola!), artigianali o industriali, indipendentemente da quanto prestigiosi o sconosciuti, eccitanti o banali possano essere o apparire in degustazione.

L’accettazione non è passiva, non ha niente a che vedere con un atteggiamento pilatesco, da cerchiobottista o da critico “plastilina”, malleabile a secondo dei casi. Saper accettare un vino, non significa che qualunque vino debba starci bene. In un’accezione più sfumata e dunque più utile a chi assaggia con consapevolezza, l’accettazione è una porta che se scegliamo di aprire, ci conduce a vedere, sentire, analizzare attraverso più possibilità interpretative, valutando il maggior numero di indizi che ci fornisce un vino.

Molto spesso come assaggiatori e come persone siamo prigionieri di una visione univoca delle cose, condizionati da sensazioni, sentimenti e opinioni che non vengono frequentemente “sorvegliati” ed esaminati con la giusta dose di autocritica E sovente mettiamo gli ideali al di sopra dei contenuti. In quei momenti, e parlo per esperienza personale, è facile sentirsi controllati e manipolati dagli schemi, sentirsi succubi dell’etichetta e delle opinioni altrui, condizionati da una certa visione comune, da una certa tendenza prevalente.

Poiché simili situazioni abbondano nella vita di un uomo e di un degustatore, dobbiamo tentare di liberarci da questi modelli di comportamento quando abbiamo il calice tra le mani, sviluppando nella consapevolezza e nel discernimento, un repertorio molto più appropriato e articolato di risposte critiche ed emotive.

Via via che impariamo a osservare e accettare l’ampia gamma espressiva di un vino, incluse le sensazioni meno consuete e più spiazzanti, oppure quelle che a prima vista appaiono più scontate e figlie della tecnica, diventiamo naturalmente più coscienti del lavoro altrui, dell’interpretazione altrui. Giungiamo così a conoscere meglio il paesaggio organolettico di un vino: una premessa indipensabile per articolare un lavoro critico in un quadro interpretativo ben più ampio.

A volte capita, nelle giornate peggiori, che la mia opinione dipenda dai miei stessi bisogni, dalle mie stesse necessità, dai miei schemi mentali, dalle mie aspettative, e dunque dalla mancanza di altre risorse in quel momento. In quei momenti quello che perdo è lo sguardo complessivo del quadro, di cui emergono solo certi colori o solo certi particolari. E una visione parziale, si sa, conduce spesso a etichettare negativamente e a giudicare senza la giusta distanza, perdendo chiarezza e prospettiva.

Se partiamo dal presupposto che vi sia una ragione sottostante al comportamento più o meno concessivo di un vino, più o meno sfumato, più o meno articolato, saremo in grado di leggerlo con più empatia, e dunque con più consapevolezza. A volte i vini attraversano fasi esplosive e implosive, chiusure drastiche e strane slabbrature prima di ristabilire un equilibrio. Talvolta i vini scoppiano di energia incoltrollata, in altri casi è possibile che esprimano una profonda e sotterranea turbolenza. A volte strepitano e scalciano, altre si offrono languidi e disinvolti: se siamo consapevoli di questo, siamo anche più tolleranti e reattivi, nonché più coinvolti dalla loro differente personalità.

Chiudo citando il buon Fabio Rizzari: “Alcuni bevono qualche centinaio di etichette e pensano di essere esperti criticando. Il vino, anche semplice, spiazza sempre, non bisogna cercarne i difetti ma i pregi”.

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