10 marzo 2012 | Francesco Falcone

Schierarsi o non schierarsi?

di Francesco Falcone
lagrandeguerra

Io, ad esempio, non mi schiero per indole: fatico a concedermi del tutto perfino alla mia squadra del cuore, non mi spendo fino in fondo nemmeno per le mie idee politiche: sono fatto così.
È un limite? Chissà.

Ma è di nuovo dal significato delle parole che voglio partire. Una su tutte: “convezionale”.
Orribile il suono, oscillante e sfuggente il significato: banale, stereotipato, tradizionale, conservatore? Le quattro cose insieme? Boh, non lo so.

L’unica cosa che so è che i produttori e i vignaioli convenzionali stanno ormai combattendo una battaglia di retroguardia. Stanno resistendo, stanno galleggiando, ma prima o poi saranno destinati a farsi travolgere dall’onda anomala della diversità (che non è per forza reale, purtroppo).

Sotto questa luce, appartengono a una specie di interpreti fuori dal tempo, destinato non a estinguersi, ma a nascodersi. Che è peggio. Data la situazione non è difficile assimilare la nozione che restare convenzionali è una colpa o un mezzo peccato. Qualcosa che stilisticamente non si addice a questo mondo del vino in continua evoluzione: non so quanto serio e impegnato, oppure quanto modaiolo.

I vini convenzionali, oggi, non sono socialmente centrali, non accendono l’immaginario, non sono un laboratorio di creatività, non attirano scrittori, intellettuali, enostrippati, enofighetti, enomaniaci, enoqualcosa. Per alcuni bisognerebbe farli uscire dalle statistiche e dalle denominazioni, bisognerebbe non parlarne, bisognerebbe lasciarli in un angolo: trattasi di bottiglie innocue prodotte da uomini e donne che non servono alla causa del progresso, che ignorano l’alfabeto dello sviluppo, destinati a vivere un’esistenza banale.

Per i degustatori senza parrocchia e senza pregiudizi, che si ostinano a non schierarsi, che provano a concentrarsi sui fatti, sui raccontati delle singole bottiglie e sulla loro storia produttiva, non è facile. Per questo oggi fare il mio mestiere richiede pazienza. E mi chiedo: chi ha sbagliato di più. Che cosa sbaglieremo ancora. Che cosa saremo capaci di sbagliare noi assaggiatori laici nelle prossime stagioni per consentire a “quelli che il bio o nulla” di farci apparire sempre più come cerchiobottisti senza un ideale, come qualunquisti lontani dalla realtà, come assaggiatori rozzi e disimpegnati?

Anch’io nutro profonde simpatie per quelli che si preoccupano dell’impatto ambientale. Molti che stanno a contatto con la terra hanno a cuore la Terra, intesa come pianeta, e io lo ripeto, sono tra questi. E provo a dare il mio contributo alla causa come cittadino e come consumatore.

Eppure le mie convinzioni rimangono inalterate: non mi schiero e non do etichette.

E la parola convenzionale non mi piace. Non mi piace affatto.
Bere vino, parlarne e scrivere senza pregiudizi, è il mio unico obiettivo.

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