30 gennaio 2012 | Francesco Falcone

Vinupetra 2001, I Vigneri

di Francesco Falcone
salvo foti

Importatori italo-americani con la barca, baroni tosco-newyorkesi col trattore scavallante, coppie nippo-belghe con le anfore, cantanti inglesi con i capelli rossi, produttori già famosi alla ricerca di nuovi stimoli e poi enologi, agronomi e sommelier folgorati sulla via d’a Muntagna: oggi che l’Etna è più che mai centro d’attrazione di una stravagante umanità che aspira a produrre vino, può tornare utile rinfrescarsi la memoria con un breve quanto intenso saggio dedicato al territorio (Etna, I Vini del Vulcano) e rinfrescarsi la gola con una bottiglia che di quel territorio è un punto di riferimento, sebbene al suo esordio: Vinupetra 2001. L’autore, in etrambi i casi, è Salvo Foti, uomo serio e professionista di accertata competenza, e per tutti il “faro” del distretto, colui che ne rappresenta la memoria e la rinascita, sebbene oggi si senta meno attratto da quel mondo a cui ha dato tanto (<<sono sempre più deluso dal contesto “vino” in generale ed etneo in particolare; oggi mi sembra di vedere “tante stupide galline che si azzuffano per nulla”>> mi confida citando Franco Battiato). Agli inizi del 2000, tra una consulenza e l’altra (prima Benanti, poi Gulfi e altri) trovò pure il tempo per ritagliarsi uno spazio tutto suo, sia come scrittore, sia come produttore (con il marchio I Vigneri). E se il prezioso pamphlet potrete ancora acquistarlo on line (oppure attendere la nuova edizione, in uscita a breve per i tipi di Maimone editore), sarà forse più difficile recuperare una bottiglia di quel rosso, immesso sul mercato alla fine del 2003 in quantità irrisorie. Fu prodotto con una piccola porzione di vecchi alberelli di nerello (mascalese in prevalenza) coltivati su piede franco a Castiglione di Sicilia, in contrada Feudo di Mezzo, a quote altimetriche generose. La conservazione è ottima, l’espressione nel pieno della sua vitalità, la progressione al palato saporita e aggraziata, la trama tannica risolta. È all’apice.

P.S. Il bambino con il grappolo d’uva tra le mani è Salvo Foti “caruso” (bambino, in dialetto etneo). Il termine deriva da caruseddu, il salvadanaio di terracotta che con un po’ di immaginazione (e ai siciliani non manca) assomiglia alla testa dei bambini, che ai tempi veniva rasata per prevenire i pidocchi.

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